Aparigraha è il quinto ed ultimo yama1 di cui parla Patanjali nel sutra 2.39.
Il sutra recita:
“Chi non è avido è al sicuro.
Ha tempo per riflettere profondamente e la sua conoscenza è completa2“.
Cosa significa Aparigraha
Aparigraha è un ternmine sanscrito. Come nella maggior parte dei casi, è una parola composta che non esprime un singolo significato ma un concetto.
Iniziamo, quindi, la nostra avventura e cerchiamo di comprendere cosa significa.
Aparigraha è composto da:
- a: l’equivalente dell’alfa privativo greco. Indica una privazione. In italiano si traduce con “non“;
- pari: alcuni lo traducono con “tutto attorno” ed altri con “cose”. Il concetto non cambia, come avremo modo di vedere;
- graha: significa “afferrare”.
La traduzione letterale e superficiale, a mio parere, è “non afferrare le cose” o “non aggrapparsi alle cose”. Stiamo parlando di oggetti superflui. Perchè tutto ciò che è superfluo impedisce all’uomo di evolversi e di vivere secondo il proprio Dharma.
A questo concetto principale sono collegati anche i concetti di:
- non attaccamento;
- avidità, invidia ed avarizia;
- possesso;
- felicità.
Quali sono gli oggetti di aparigraha?
Quando parliamo di oggetti la nostra immaginazione corre immediatamente verso gli oggetti materiali. Ma l’attaccamento è un modo di essere e di relazionarsi. Quindi, gli oggetti possono essere anche immateriali (relazioni con persone o animali, le nostre idee, le emozioni, ecc.).
Aparigraha: il non attaccamento
Gli antichi mistici sceglievano la povertà e la solitudine come strada per l’evoluzione spirituale.
Mi chiedo spesso come si comporterebbero oggi che siamo circondati da montagne di oggetti e con un livello tecnologico inimmaginabile già 30 anni fa. Sicuramente, anche gli antichi saggi si troverebbero in grande difficoltà nell’ applicare aparigraha.
E’ chiaro che il nostro concetto di povertà è ben diverso dal loro.
Il povero dei giorni nostri possiede molto più cose che in passato. I soli oggetti di uso personale e quotidiano si sono moltiplicati in modo esponenziale.
Allora, mi domando se il genere umano sia rimasto immutato nel corso dei millenni, dato che Patanjali, oltre 2000 anni fa, meditava su queste problematiche, in un mondo completamente diverso dall’attuale. Il bisogno di possesso è lo stesso, ora come allora?
Se la risposta è si, allora dobbiamo chiederci perchè. 🤷♀️
In passato la vita era molto semplice ed i bisogni erano pochi. Ma, sembra che la necessità di possedere sia rimasta la stessa.
E’ chiaro che non bisogna demonizzare gli oggetti ed il benessere raggiunto. Non è necessario isolarsi in cima ad una montagna o in una grotta per sentirsi liberi e distaccati dal mondo.
Oggetti e benessere sono a nostra disposizione con il compito di aiutarci a vivere meglio e non di renderci schiavi.
Il non attaccamento si esprime nella capacità di disfarsi dell’oggetto inutilizzato. Se l’oggetto non ti serve più è inutile conservarlo per un ipotetico utilizzo futuro.
Quali sono le conseguenze di ciò?
Sarai circondato di spazio vuoto in cui poterti muovere ed esprimerti liberamente. Scoprire che l’appagamento è in una relazione inversa con la quantità di oggetti posseduta. Più sono gli oggetti, minore è il livello di appagamento e viceversa. Minore è il numero di oggetti posseduti maggiore è l’appagamento.
Inoltre, se riesci a prenderti cura dei tuoi oggetti con cura e, al contempo, con distacco, nel caso in cui dovessero accidentalmente venirti meno soffrirai anche meno.
Ad esempio, torniamo al cellulare che abbiamo tutti. E’ opportuno prendertene cura in modo che ti sia utile il più a lungo possibile e non provare indifferenza.
Ogni fenomeno, però, ha un inizio ed una fine poichè tutti i fenomeni sono transitori.
La transitorietà dei fenomeni è una costante della vita.
La conclusione è che se dovesse rompersi il tuo telefono e se non hai instaurato con esso una relazione improntata sul possesso soffrirai, sicuramente, meno.
Dato che abbiamo precisato che gli oggetti dell’attaccamento sono anche immateriali, facciamo un altro esempio.
Voler ripetere, ostinatamente, un’esperienza che ci ha regalato emozioni piacevoli, ci neghiamo la possibilità di farne altre che potrebbero essere ugualmente positive. Tutto questo è causa di sofferenza in quanto ciò che è stato non può ripetersi.
Lo stesso vale per le relazioni con le persone o con gli animali. Essi ci accompagnano solo per un breve percorso della nostra vita. Poi sono destinati a lasciarci.
Essere o apparire? Dove si trova la fonte della vera felicità?
Tutte le cose vanno utilizzate e non possedute. E’ importante essere onesti con noi stessi e riconoscere che siamo avidi di cose, esperienze, conoscenze, informazioni, relazioni,ecc.
Cosa possiamo fare per riconoscere questi meccanismi mentali e liberarcene?
Gli oggetti servono per vivere bene e non per apparire diversi agli occhi degli altri, oppure per soddisfare bisogni inconsci.
Ovviamente, essendo aparigraha un automatismo mentale, occorre partire dall’osservazione della nostra mente.
Inizialmente, continueremo a sbagliare. Ma, solo dopo un’attenta osservazione delle nostre azioni, prima, e riflessione, poi, possiamo imparare a riconoscere immediatamente quando si attivano questi meccanismi mentali ed a bloccarli sul nascere.
Imparerai a riconoscere i bisogni che li attivano e come rispondere diversamente ad essi.
La felicità non è possesso.
La felicità, esattamente come aparigraha, è uno stato interiore e non dipende dagli oggetti posseduti.
Ovviamente, è importante avere un tetto sulla testa per proteggerci o poterci prendere cura dei nostri figli. Sono solo alcuni esempi di bisogni fondamentali.
Il punto è proprio questo. I bisogni vanno soddisfatti tutti. Un pregio dell’attuale società occidentale è quello di poterlo fare facilmente.
Il problema sorge quando non conosciamo noi stessi profondamente. Allora, cercheremo di capire chi siamo. Illudendoci che i nostri averi ci qualificano.
Spesso l’impulso a circondarci di cose è generato dalla mancanza di idee chiare su ciò che siamo e sulla causa delle nostre insoddisfazioni. In poche parole, è la non conoscenza di noi stessi.
Avidita, invidia ed avarizia
L’incapacità di distinguere i bisogni voluttuari da quelli fondamentali, l’illusione che saremo al sicuro e felici solo se possediamo l’ultimo modello di auto, cellulare, vestito o altro ci rende spesso avidi, invidiosi o avari.
Si innesca un circolo vizioso. Ed aparigraha ci fornisce le indicazioni per uscirne. Infatti, hai sicuramente sperimentato come il senso di appagamento lascia il posto all’insoddisfazione, al senso di pesantezza, all’insicurezza ed alla ricerca di altre soluzioni che spesso si risolvono nell’acquisto di altri oggetti.
Aparigraha è una esortazione a divenire coscenti del tipo di relazione che intessiamo con gli oggetti, a non attaccarci alle cose, ad essere riconoscenti e grati verso ciò che è stato utile e che ha completato il suo compito. A non inseguire ed a sbarazzarci di ciò che non è necessario. A riconoscere che nella vita il successo e la realizzazione personale dipendono esclusivamente dalle nostre risorse interiori.
Conclusioni
Ci illudiamo che la nostra felicità dipenda dagli oggetti posseduti. Ma aparigraha dimostra il contrario.
E’ molto difficile sradicare questa credenza dalla nostra mente in quanto esperti pubblicitari conoscono bene la psicologia umana e quali leve azionare per abbracciare un particolare stile di vita e soddisfare bisogni spesso effimeri o, addirittura inesistenti.
Purtroppo, ogni oggetto richiede spazio, cura, tempo ed attenzioni. Paradossalmente, ci rendono schiavi e sottraggono risorse da dedicare alla riflessione e meditazione (aparigraha) sugli aspetti che donano valore all’esistenza e che ci fanno sentire profondamente appagati.
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Note
1 Gli yama sono insegnamenti con valenza etica, il primo passo da fare per incamminarci sullo stile di vita yogico.
2 “Il cuore dello Yoga” T.V.K. Desikachar – pag. 196 – Ubaldini Editori Roma